Discorso di Inaugurazione dell’Anno Accademico

In occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Accademico, lunedì 20 febbraio, Lorenzo Santambrogio, Consigliere di Amministrazione e Rappresentante degli Studenti, è intervenuto con questo discorso:

Nel suo intervento, il mio collega ha utilizzato la locuzione latina “alma mater”, traducibile in italiano con l’espressione “madre nutrice”. Utilizzata in in età romana per indicare Cerere, dea della terra e della maternità, e Cibele, dea della natura e degli animali, l’espressione venne presa in prestito in epoca medievale per indicare ciò che oggi è chiamato “Università”, cioè un luogo di aggregazione tra docenti e studenti che liberamente si riuniscono al fine di studiare, ricercare e conoscere. Si tratta di una locuzione che racchiude, a mio parere, l’essenza dell’istituzione universitaria evidenziandone il ruolo centrale nella vita dell’individuo: l’Università, come una madre, è attrice fondamentale nel processo di formazione personale (e non, dunque, meramente professionale) di chiunque la frequenti. L’Università degli Studi dell’Insubria, in particolare, è una madre giovane. Si potrebbe dire che è appena diventata maggiorenne, avendo compiuto diciotto anni l’anno passato. Nella vita dell’individuo il compimento della maggiore età simboleggia idealmente il passaggio, per così dire, dall’età dell’incoscienza all’età della ragione. Gradatamente si diventa più avversi al rischio, più prudenti perché memori degli errori passati e si viene a perdere quella forza propulsiva unica che caratterizza l’età della fanciullezza, lasciando spazio a saggezza e ponderazione che aumentano col passare degli anni. L’incredibile capacità innovativa del nostro Ateneo, del resto, si è palesata sin dalla sua fondazione, con la costituzione della prima ed unica Università italiana bicefala, avente sede in Varese e Como. Una scelta, questa, che implica il superamento del bieco campanilismo che ha sempre connotato la nostra penisola, dall’Italia dei Comuni ad oggi, e che dona a Varese e Como il loro unico polo universitario comune. Non esiste una grande città senza una grande università, e viceversa. In occasione dell’inaugurazione di questo nuovo anno accademico un primo augurio è, dunque, quello di mantenere lo spirito propulsivo ed innovatore di questi primi diciotto anni e di aggiungervi la saggezza della maggiore età per migliorare sempre di più l’immagine del nostro Ateneo nel mondo. A tal proposito, uno stretto legame col territorio appare fondamentale, essendo la struttura universitaria in esso immersa. Dal territorio l’Università ottiene la propria “materia prima”, gli studenti, che una volta ultimato il loro percorso al territorio ritornano. Quello tra Università e territorio è necessariamente un rapporto di interscambio e comune lavoro, che viene agevolato dalla presenza della Consulta Ateneo-Territorio, la quale si prefigge di migliorare la sinergia tra le parti mettendoli in un dialogo diretto. In tale dialogo, il territorio ha il dovere di segnalare le proprie necessità all’Università e vedere in essa non una fonte di problemi, ma bensì un prezioso alleato in grado di aiutare a fornire risposte concrete alle carenze mediante la formazione di professionisti a tutto tondo. Dall’altro, l’Università ha il dovere di non divenire la biblica turris eburnea, la “torre d’avorio” che riunisce intellettuali completamente distaccati dal mondo reale. Nostro è il dovere di toglierci metaforicamente giacche e cravatte e di partecipare alla vita del territorio, spogliando i nostri discorsi degli sterili aulicismi e contribuendo a creare un sapere condiviso ed accessibile a tutti. Numerosi sono stati i passi mossi in questa direzione, anzitutto mediante eventi aperti alla cittadinanza quali, parlando per la sede comasca cui appartengo, le numerose rassegne cinematografiche ed i concerti nel Chiostro e nella Basilica di Sant’Abbondio. L’urgenza di un sapere condiviso di qualità traspare con pressante evidenza in un’epoca in cui nazionalismo e xenofobia stanno tornando ad essere ideali dominanti nelle vicende politiche mondiali. L’Università in primis ha il compito di farsi promotrice di una conoscenza più che mai includente che non solo travalichi le proprie mura in direzione del territorio, ma che da esso si proietti nel mondo. Molti sono i progetti di internazionalizzazione cui il nostro Ateneo aderisce, primo tra tutti Erasmus+, il programma europeo per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport che consente agli studenti, tra le altre cose, di intraprendere un periodo di studio all’estero. Tanto è stato fatto, anche in termini di aiuto economico agli studenti in partenza, ma non dobbiamo accontentarci. La vera sfida, ora, è quella di creare percorsi di studio che consentano allo studente di mettere a frutto al 100% la propria esperienza nel Paese di destinazione, facendo in modo che egli possa vedersi riconosciuti esami utili alla sua formazione specialistica. “Life Learning Programme”, questo il nome dato dall’Unione Europea fino al 2013 al progetto di mobilità ora confluito nel macroinsieme “Erasmus+”. Una denominazione che trovo particolarmente calzante: “life learning”, un insegnamento che ci accompagnerà per la vita, rendendoci liberi dalla paura del diverso, la quale origina dall’assenza di conoscenza dell’oggetto di cui si ha timore. Ruolo fondamentale nella creazione e nella divulgazione di questo sapere accademico condiviso e condivisibile sono i docenti ed è a loro che, adesso, mi rivolgo. Il primo giorno di Liceo, quella che allora era la mia professoressa di Greco entrò in classe e tenne il classico discorso introduttivo della materia. Come primo gesto prese un gessetto e scrisse alla lavagna una frase di Plutarco: “La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Professori, accendeteci. Trasmetteteci la passione che vi ha spinto a dedicare tutta la vostra vita allo studio della materia che, ora, avete la straordinaria opportunità di insegnarci. Ricordate che di fronte a voi siedono persone che liberamente, tutti i giorni, decidono di entrare in aula ed ascoltare per imparare. Parlateci di voi, rendeteci partecipi. Nell’epoca del complottismo e della verità prêt-à-porter, a voi il compito di non imbottirci di nozioni come potrebbe fare una qualsiasi pagina di Wikipedia, ma di instillare in noi la curiositas non solo per la vostra area di competenza ma per la conoscenza in generale, trasformandoci in attori critici, in grado di formare un nostro giudizio autentico e di diventare i vostri degni successori. A voi, studenti, dico: non date nulla per certo, non consideratevi mai arrivati, non pensate di avere la verità in tasca. Laddove c’è il dogma, la presunta certezza, lì c’è immobilità, incapacità di progredire. Ricordate che siete la ragion d’essere dell’Università, la sua linfa vitale e non fermatevi neppure quando vi verrà detto che è impossibile realizzare ciò che chiedete. Di fianco alla sede di Sant’Abbondio oggi apre una nuova aula studio di proprietà dell’Ufficio della Pastorale Universitaria della Diocesi di Como che ha provveduto a sue spese alla ristrutturazione. L’aula sarà gestita da una Cooperativa nata su iniziativa di studenti dell’Università, che intende mantenere la struttura aperta grazie al lavoro degli studenti stessi. Comunque vada, che l’aula sia piena tutti i giorni tutto il giorno (come mi auguro e sono certo accadrà) o che rimanga vuota, sarà comunque un successo straordinario. È la dimostrazione che “volere è potere” e che agendo assieme, anche mediante la collaborazione con enti esterni, è possibile creare qualcosa di buono ed utile a tutti. Una parola, infine, per i miei colleghi rappresentanti degli studenti. Siamo stati eletti per creare un ponte che metta in relazione gli studenti con i docenti e l’amministrazione. Il nostro mandato è forte di una partecipazione alla vita politica universitaria senza precedenti nel nostro Ateneo. Le votazioni per gli Organi di Governo hanno registrato più del 17% di affluenza contro l’11% di due anni fa, con oltre 10.000 voti espressi contro i 6.000 della precedente votazione. Si tratta di un grande risultato che, però, non deve farci adagiare. Dobbiamo continuare a lavorare affinché la nostra Università funzioni veramente come una macchina perfettamente rodata, in cui tutti contribuiscano in nome dell’amore per il sapere. Si tratta di un percorso in cui non v’è alcun punto d’arrivo ma solo un punto di partenza: l’avere una “madre”, una “alma mater”, in comune. L’Insubria.

Grazie a tutti.