Le recentissime manifestazioni di piazza francesi contro la riforma delle pensioni, che hanno impressionato tutti per la loro violenza, hanno riportato in primo piano anche nel nostro Paese il dibattito sul rapporto tra generazioni. Per la verità se molti commenti si sono fatti attorno al “cuore” del motivo scatenante le manifestazioni transalpine, poca sui nostri giornali è stata la riflessione sul tema “trasversale” a tanti Paesi occidentali, come il nostro, ovvero quello della sostenibilità di un sistema di welfare che è sempre più concentrato sul presente (i pensionati e i meno giovani di oggi) che sul futuro (i giovani lavoratori e le giovani famiglie). Diciamo questo perché negli ultimi tempi molto si è detto sulla scuola e sull’importanza non solo di investire nell’istruzione, ma anche di guardare, nell’investire, ai “talenti” dei nostri ragazzi, il che comporta necessariamente un cambio di prospettiva, di paradigma, oseremo dire perfino di “pensiero” da parte di tutti noi.
Un esempio: come Agesc in questi ultimi mesi abbiamo moltiplicato, in ambito territoriale, gli interventi e le proposte formative rivolte ai genitori nel campo dei social, la cui evoluzione rapidissima ha contribuito ad ampliare il gap generazionale.
Il fatto di “educarci”, come genitori, insieme ai nostri ragazzi può trasformare un problema in una risorsa e arrivare talvolta ad evitare drammi, se non tragedie, (che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti). Se non ci mettiamo nelle “scarpe”, direbbe Pirandello, dei nostri ragazzi, delle giovani famiglie, (senza fare il classico paragone col nostro vissuto) non avremo mai una sufficiente capacità di capire ed accompagnare. Ecco perché continuiamo questo impegno formativo a 360 gradi con i genitori.
Ricordavamo poco tempo fa come ad esempio sia cosa positiva il ritorno della figura del Tutor nelle scuole. Un buon primo passo che però rischia di essere considerato la panacea relativamente ad alcune problematiche e che di fatto rischia di aprire solo qualche varco, un altro dei tanti “sentieri interrotti” che non si sono mai trasformati in strade percorribili e caratterizzate da contesti ambientali sostenibili.
I dati dicono che dall’anno prossimo un piccolo esercito di docenti, 40mila, appositamente formati (la formazione, stando alla bozza del decreto dovrebbe partire dalle prossime settimane), svolgeranno funzione di tutor e altri 2.600 quella di orientatore. Mediamente un docente tutor
dovrebbe operare su due classi e il docente orientatore su una istituzione (in media di circa 600 studenti). I numeri sono purtroppo impietosi e esprimono per l’ennesima volta, una scala di valori che attesta la marginale attenzione che viene data alle giovani generazioni, agli uomini e donne di “domani”, che sono coloro che, ricordiamolo nuovamente, abitano la scuola “oggi”. Ancora una volta una buona idea viene tradotta nella realtà in modo inadeguato; una buona intenzione, si scontra con l’eterna paura che a occupare quei posti siano persone che cercano solo una sistemazione e non hanno competenze adeguate al compito che dovrebbero svolgere.
Ecco che qui il discorso si fa complesso ed anche specialistico, perché entra in campo l’inadeguatezza numerica di chi è incaricato di “controllare” (il corpo ispettivo), sempre in asfissia d’organico e spesso sottoutilizzato in compiti meramente amministrativi.
Cambiare dunque questo paradigma dipende da molti fattori. Certo, la politica ha una grande responsabilità, ma questi aspetti riguardano la mentalità comune. Dipende infatti da tutti noi sostenere con un comune sentire l’importanza dell’investimento scolastico, un impegno di energie e risorse economiche e umane che tocca la vita di tutti e che non può più gestire una realtà complessa come la scuola d’oggi con i modelli organizzativi, amministrativi e culturali dell’inizio del Novecento.
Non bastano Lim, computer e competenze digitali. È necessario un supplemento d’anima, una crescita sul piano culturale e strategico. Secondo un vecchio proverbio contadino, chi mangia la semente si sfama un anno in più a costo zero, ma poi soffrirà la fame per sempre.
Avvenire, 31 marzo 2023