Mentre gli equilibri della politica si giocano sulla vicenda della nave Aquarius e degli sbarchi di clandestini, la cassa di risonanza dei media sollecita prese di posizioni da parte dei singoli cittadini e scuote dalle fondamenta i principi dell’accoglienza e dell’integrazione. Il Mediterraneo continua a essere teatro di cambiamento e scenario della storia di tutti quei Paesi che vi si affacciano. La questione non può non chiamare in causa anche e principalmente le giovani generazioni, prime fra tutti a misurarsi con l’urgenza dell’accoglienza e le controverse prassi dell’integrazione fra i banchi di scuola, dove le esistenze degli individui si intrecciano e si toccano davvero nel profondo per divenire collettività.
Pare che sulla nave Aquarius fossero imbarcati 134 minori, la maggior parte dei quali non accompagnati. Sono diversi anni che il nostro Paese ha a che fare con il fenomeno dell’immigrazione da tempo si è innescato un processo di trasformazione della compagine sociale a partire dalle sue stesse radici. La scuola si è adeguata al cambiamento. La multiculturalità è entrata a pieno titolo nei programmi e ha assunto un ruolo centrale, non solo in relazione con lo stato dei fatti (l’italia è un Paese multiculturale), ma anche in una prospettiva secondo la quale i nostri figli/studenti siano preparati un domani a considerarsi cittadini del mondo, senza limitazione di confini.
Proprio quest’anno il Miur ha varato un “Piano nazionale per l’educazione al rispetto“, con l’obiettivo di contrastare ogni forma di discriminazione e favorire il superamento di pregiudizi e disuguaglianze, secondo i principi espressi dall’articolo 3 della Costituzione. Oltre al Piano, nella scuola ormai da almeno un paio di decenni si è lavorato tanto per abbattere i pregiudizi razziali, per favorire lo scambio interculturale nel’incontro con l”L’altro” diverso da noi. Tutte le discipline si sono messe in gioco, non ultima la storia che con le sue importanti testimonianze e le conquiste fondamentali dell’umanità. Ancora una volta le discussioni strumentali della politica e la diffusa rabbia sociale scollano l’individuo dai principi stessi di di cittadinanza e sovvertono il percorso di emancipazione di tutti i giovani, non solo di quelli stranieri.
Grazie anche all’operato della scuola (e fortuna non solo), gli adolescenti italiani oggi pensano sempre più che le persone immigrate siano parte integrante della società (57%), giudicano dunque positivamente la loro presenza nel nostro Paese (55,6%), anche grazie all’arricchimento culturale che apportano (47,5%). I dati sono raccolti in una ricerca condotta dall’Unicef nell’ambito della compagna “Io come Tu” per la sensibilizzazione nei confronti dei bambini e adolescenti stranieri che vivono e studiano in Italia. Nella ricerca i nostri adolescenti dimostrano di avere buona consapevolezza della persistenza di atteggiamenti razzisti in molti strati della società, la maggioranza non ne condivide e ne condanna le posizioni. I primi protagonisti del prossimo futuro, e cioè i nostri figli, non sembrano pensarla come coloro che se ne professano paladini dai banchi del Parlamento. La poetessa Wislawa Szymborska scriveva: “Oh, come sono permeabili le frontiere umane!/ quante nuvole vi scorrono sopra impunemente,/ quanta sabbia del deserto passa da un paese all’altro,/ quanti ciottoli di montagna rotolano su terre altrui/ con provocanti saltelli!”. Forse i giovani la pensano come lei. (Silvia Rossetti)