Articolo di Daniele Raimondo

IRC disciplina di frontiera, un approccio spesso problematico

«Disciplina di frontiera! Anche se non siamo dei combattenti, ci troviamo spesso a dover difendere il nostro territorio. Un inizio forse non troppo entusiasmante, ma investito sicuramente da una carica di profondo positivismo e realismo.

L’insegnante di religione cattolica, tra pregiudizio e realtà

Le motivazioni di fondo che rendono la nostra disciplina inquadrabile, almeno dal punto di vista dell’osservatore esterno e ci riferiamo in particolar modo alla componente genitoriale e sociale, ma anche ai colleghi e istituzioni, in un ambito di frontiera e di confine sono rinvenibili in diverse strutture concettuali e ideologiche, ma anche organizzative e programmatiche.

La prima difficoltà che nasce, è a nostro avviso un approccio spesso problematico e malinteso della disciplina, che a causa di una sua scarsa conoscenza e intendimento, facilmente è attaccata, credendo che la religione sia più una materia extra, per riempire il curricolo scolastico e inoltre collocandosi nell’ambito della facoltatività, sia discrezionale anche il fatto di studiarla o meno, a prescindere dall’insegnamento, impegno e dedizione del docente. A rafforzare ulteriormente questa posizione, influisce anche un parametro importante, ovvero la non inclusione della materia nella rosa delle discipline che “fanno media”.

La nostra posizione è di non sminuire affatto il ruolo dell’IRC, ci mancherebbe, anzi siamo qui per cercare di dimostrare l’esatto contrario e di mettere in evidenza invece, la grande possibilità offerta alla scuola di avvalersi di un insegnante a tutto tondo, massivamente inserito nel contesto interdisciplinare e soprattutto attento e disponibile ai bisogni del prossimo, ed anche se è vero che questo orientamento è proprio di ogni docente, per l’Ir diventa una missione che è resa ancor più visibile e chiara dai canoni 803 e 804 a cui il docente di religione deve necessariamente uniformarsi, pena la revoca dell’idoneità all’insegnamento da parte dell’ordinario diocesano.

Sembra una pena abbastanza grave, però già questo dovrebbe far intendere quanto la Chiesa tenga a cuore il ruolo dell’Ir e soprattutto il delicato compito che è chiamato a svolgere; non si può assolutamente trascurare un mandato ed una responsabilità così importante e certamente non si può mettere su un piatto della bilancia l’impegno e sull’altro il compenso ricevuto; penderebbe sicuramente a favore dell’impegno e questo non deve essere assolutamente motivo di alleggerimento del piatto per riportare in equilibrio il sistema. Meno impegno, significa goliardia e scusateci se siamo così diretti, ma il termine è sinonimo di trascuratezza, disinteresse e incapacità di valutare in maniera attenta il bisogno del prossimo che nel nostro caso è uno studente vulnerabile e completamente disorientato in un sistema economico, politico e sociale balordo.

Difficoltà oggettive e soluzioni proposte all’insegnamento della disciplina

Andiamo ad analizzare nel dettaglio elencandole, le difficoltà che a nostro avviso rendono irrealizzabile “il sogno” dell’Ir:

  1. la mancanza di un apporto e sostegno da parte del dirigente, che spesso inavvertitamente per mancanza di tempo, sovrastato da tanti impegni burocratici, PON, progetti, PCTO, PNRR e chi più ne ha più ne metta, non riesce a dare; o forse anche perché non sente il bisogno dell’apporto incisivo dell’Ir;
  2. la mancanza di desiderio e voglia di scoprire da parte degli studenti, attribuibile ad un sistema societario che tende a reclamizzare le banalità, dando attenzione al bene di consumo anziché fornire risorse che stimolino il loro intuito, senso di ricerca e capacità critica;
  3. la mancanza di un sostegno istituzionale, che per quanto formalmente sia perfettamente in accordo con la Chiesa, assistiamo di fatto ad esclusioni e mancati coinvolgimenti del Ir nelle attività scolastiche maggiormente negli ordini di scuola più elevati, soprattutto quando quest’ultimo, non ha un carattere tale da permettergli di reclamare la sua posizione ed il suo ruolo all’interno della scuola;
  4. una scristianizzazione di massa, dovuta maggiormente ai motivi indicati al punto 2, che conduce ad una perdita valoriale anche e soprattutto nelle persone adulte che vivono principalmente di una cultura effimera e transeunte;
  5. il pregiudizio, spesso immotivato, verso la disciplina;
  6. l’inefficienza del sistema scolastico, che tende a massimizzare la progettualità e lo studio specifico della disciplina, trascurando invece un approccio interdisciplinare e collaborativo tra i docenti che miri essenzialmente alla costruzione dello studente per inserirlo nella realtà, spesso completamente diversa da come viene presentata e recepita attraverso uno studio settoriale.

I sei punti elencati, sono in linea di massima, secondo la nostra analisi speculativa, i motivi che potrebbero confinare la religione cattolica sulla linea di frontiera; ma nonostante queste difficoltà, alcune delle quali, più difficili da rimuovere rispetto ad altre, ci rendiamo anche conto che tali impedimenti non devono scoraggiarci, anzi, noi riteniamo che rappresentano addirittura dei punti sui quali possiamo far leva, per dimostrare maggiormente la nostra voglia di metterci in gioco, in discussione, conquistando con un animo predisposto al bene, la corona della gloria inquadrando il nostro ruolo come apostolo, missionario e non solo come magister. IRC disciplina di frontiera, un approccio spesso problematico Di Daniele Raimondo 6 Come è possibile proseguire lungo il percorso che conduce a questo traguardo?

Proviamo a elencare delle “linee guida” che il docente potrebbe seguire per agevolare tale orientamento, che potremmo anche chiamare “il vademecum del buon “insegnante di religione”:

  1. inquadrare come già detto il nostro ruolo nel profilo del missionario;
  2. mantenere, a prescindere dalle difficoltà, che si presenteranno un atteggiamento sempre positivo e propositivo, senza mai gettare la spugna;
  3. essere maestro, con un profilo culturale degno di tale attribuzione, ma anche testimone che sappia condurre con umiltà e mitezza il compito istituzionale/umano affidatogli;
  4. avere una mentalità aperta, partecipativa e disposta alla condivisione ed all’incontro, sia con i diretti interessati (gli alunni), ma anche con tutte le persone che entreranno in contatto con lui;
  5. essere sempre aggiornato sul mondo, interessandosi alla sua complessità, in quanti più ambiti sia possibile farlo, andando dalla psicologia, alla pedagogia, passando per la politica e l’economia, transitando lentamente nei punti dell’Agenda 2030 verso i quali bisognerà avere un senso di profonda sensibilità, formando e orientando gli alunni a comprendere, a ragionare ed a promuovere soluzioni ai problemi del pianeta e dell’uomo che lo abita.
  6. lavorare incessantemente, senza pensare al contraccambio monetario inspirandosi al motto di Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” comprendendo che il lavoro del docente di religione anche se carico di apparente tensione, se fatto con disposizione retta, porterà ad una gioia piena ed a dei riconoscimenti non misurabili economicamente, ma capaci di riempire il nostro cuore di un tesoro inesauribile;

Chiudiamo dando una lettura adesso riflessiva a quanto scritto nei sei punti precedenti.

La Chiesa da quando è nata, partendo dall’archè di un annuncio kerigmatico ha sempre dato ad ogni uomo, fino ad arrivare a noi docenti, approfondendo, chiarendo, semplificando un messaggio a prima vista semplice, ma di difficile applicazione a causa della complessità della natura umana. Il messaggio, tutt’altro che sconosciuto, che ci sentiamo di proporre come continuatori della tradizione cristiana è questo: “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Se riusciremo già ad applicare questo precetto, supereremo ogni frontiera ed ogni approccio, per quanto problematico, risulterà difficile sì, ma comunque realizzabile.

In conclusione riportiamo un messaggio di Giovanni XXIII nel suo viaggio ad Assisi del 1962 e anche se è riferito principalmente alla tutela del creato, a nostro avviso è estendibile anche a noi docenti, chiamati ad essere diffusori dei principi di socialità alla base di ogni costruzione relazionale sia in riferimento alle creature che al creato:

«Sia pace nella concordia, nella comunicazione scambievole, da un capo all’altro del mondo, delle immense ricchezze di ordine e natura, che Dio ha affidato all’intelletto, alla volontà, alla indagine degli uomini, affinché la giusta ripartizione segni l’ascesa di quei principi di socialità che sono da Dio e a Dio riportano».

Ogni comunicazione umana deve fondarsi sulla pace che nasce da un atto della volontà dietro spinta dell’intelletto, quindi è pienamente eseguibile dall’uomo capax Dei, soggetto libero di scegliere ciò che è bene per lui in relazione agli altri.

Se parafrasiamo quanto appena detto applicandolo all’insegnante di religione cattolica, penso sia facile intuire quanto importante sia strutturare un percorso di studio e di vita, uscendo dagli schemi legati al voto, al risultato aritmetico, alle attività programmate ed imposte da un sistema che spesso dimentica che lo studente è prima di tutto una persona alla quale bisogna dare il massimo delle attenzioni per poter trarre da lei il meglio, formandola per essere pronta ad affrontare le difficoltà di un mondo estremamente complesso ed a tanti sconosciuto.»[1]

[1] Raimondo D., IRC disciplina di frontiera, un approccio spesso problematico in Agorà IRC. Supplemento Professionale per i docenti di Religione Cattolica del periodico “Essere scuola”. “Gli aspetti educativi dell’IRC”, anno IV n. 1 – luglio/settembre 2023, pp. 5-6.