L’inverno demografico che, da anni ormai, interessa l’Italia, cambia anche la “geografia” della rete scolastica sul territorio, che si deve adeguare alle indicazioni dell’Unione Europea, nel contesto delle misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La continua e costante diminuzione del numero di alunni – secondo le previsioni Istat, la popolazione tra i 3 e i 18 anni, passerà dagli 8 milioni e 137mila di quest’anno ai 6 milioni e 738mila del 2034, con la perdita di oltre un milione di alunni entro un decennio – ha comportato la necessità di rivedere la distribuzione delle istituzioni scolastiche, che, nel prossimo triennio, saranno progressivamente diminuite, pur mantenendo inalterato il numero dei plessi. Inoltre, sono tenute in particolare considerazione le esigenze e le specifiche criticità di alcuni territori, come i comuni montani, le piccole isole e le minoranze linguistiche, dove le scuole rappresentano un presidio sociale importante.
Criteri e parametri del nuovo piano di dimensionamento scolastico sono contenuti nel decreto interministeriale, firmato a giugno dai ministri dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara e dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti. Il progetto di riforma prevede che, nel prossimo triennio, le istituzioni scolastiche – per le quali è previsto un dirigente scolastico a tempo indeterminato e un direttore dei servizi generali e amministrativi in via esclusiva – passino dalle attuali 8.089 a 7.461 nell’anno scolastico 2024/2025, per poi diventare 7.401 nel 2025/2026 e 7.309 nel 2026/2027. Come detto, invece, la riforma non prevede chiusura di plessi scolastici che, come comunicato dal Ministero, rimarranno circa 40mila.
Tra le ragioni che stanno alla base del progetto di nuovo dimensionamento scolastico, c’è l’eliminazione del numero delle reggenze, cioè delle istituzioni scolastiche che non hanno un preside titolare ma, appunto, un “reggente” che dirige due scuole. Stando agli ultimi dati, le reggenze sono 950 e dovrebbero diminuire, in prospettiva, di circa 500. La riforma varata dal governo comporterà, a regime (nel 2032), una razionalizzazione della rete scolastica, che sarà adeguata all’effettiva popolazione studentesca, con risparmi annui che partiranno dai circa 5,4 milioni di euro del 2024 (anno di entrata in vigore) agli 88,3 milioni del 2032. «Punto qualificante dell’impianto complessivo – si legge in una nota del Ministero dell’Istruzione e del Merito – è la possibilità di reinvestire in modo strutturale queste risorse a favore del sistema scolastico. In particolare – specifica la nota – la norma consente di riutilizzare queste risorse per incrementare il Fondo di finanziamento delle istituzioni scolastiche, il Fondo unico nazionale della dirigenza scolastica e il Fondo integrativo di istituto, anche con riferimento alle indennità destinate ai direttori dei servizi generali e amministrativi».
La riforma, dunque, prevede il “taglio” di un certo numero di dirigenze, con l’avvertenza, si legge nel decreto, di «garantire sempre che il numero delle sedi sia almeno pari al numero dei dirigenti scolastici in organico nella Regione». Con i nuovi parametri, a rischio sono soprattutto le istituzioni scolastiche del Mezzogiorno, dove è maggiore il numero di scuole “sottodimensionate”, cioè con un dirigente pur avendo un numero di alunni inferiore a 500 o a 300 nel caso dei comuni montani, delle piccole isole e dei territori caratterizzati da specificità linguistiche. Secondo un’elaborazione della Cisl Scuola su dati ministeriali, a rischiare la soppressione di istituzioni scolastiche sarebbero soprattutto Marche, Abruzzo, Puglia, Sicilia, Campania, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Calabria, Molise, Sardegna e Basilicata. Qui la media di alunni per scuola oscilla tra 650 e 900, mentre il decreto prevede che si possano attivare sedi scolastiche con almeno 961 alunni nel 2024-2025, 949 nel 2025-2026 e 938 nel 2026-2027.
«Abbiamo sempre chiesto che ci fossero margini di flessibilità per quelle realtà territoriali con caratteristiche particolari (zone di montagna, piccole isole, contesti con forte disagio socio-economico) – commenta la segretaria generale della Cisl Scuola, Ivana Barbacci – ed è evidente che i nuovi parametri potrebbero comportare, in alcune regioni, interventi pesanti di riduzione degli istituti. È vero che non si chiudono sedi scolastiche, dunque non ci sono ricadute significative sull’erogazione del servizio, ma occorre evitare forzature eccessive e agire con ragionevole gradualità. Ma in un sistema che vogliamo resti unitario e nazionale sarebbe comunque opportuno evitare eccessivi squilibri tra le regioni».
Contro il progetto di riforma del governo si sono schierate alcune Regioni. A loro, infatti, spetta attuare le indicazioni dell’esecutivo, provvedendo autonomamente al dimensionamento della rete scolastica entro il 30 novembre, con una possibile proroga entro fine dicembre. Tre Regioni (Campania, Puglia ed Emilia Romagna), hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale, che si pronuncerà il 21 novembre. La Campania, inoltre, ha presentato ricorso al Tar, ottenendo, in un primo momento, la sospensione degli effetti del decreto. Successivamente, il Consiglio di Stato ha accolto l’impugnativa del Ministero e ora tutto è nelle mani della Consulta. Il «contrasto al dimensionamento» sarà anche uno dei «punti rivendicati» dello sciopero proclamato dalla Flc-Cgil per venerdì 17 novembre. «Chiediamo al Ministro di ritirare il provvedimento – ribadisce la segretaria generale Gianna Fracassi – e a tutte le Regioni di non attuarlo. Nel frattempo, non soltanto appelleremo tutte le decisioni legali, ma utilizzeremo ogni strumento politico per poterlo contrastare».
Articolo di Paolo Ferrario pubblicato su Avvenire il 12 novembre 2023.